Illusione

La testa mi faceva un gran male. Mi sentivo confuso svuotato. Ogni qual volta mi sentivo strano mi recavo al campo di baseball tra la Market Street e la Cherry Street. Guardare i ragazzini giocare a baseball mi dava conforto e tempo per pensare. Ad ogni fuori campo volgevo lo sguardo all'ovattato e trafficato rumore proveniente dal Manhattan Bridge. Tenevo riposte le mie mani nelle generose tasche del mio lungo cappotto ma il vero freddo lo provavo dentro. La sbronza della sera prima mi aveva seccato, steso a terra come un pugile manda knock-out un fragile avversario. Il cielo plumbeo avvolgeva New York in una triste e sadica morsa fredda. Piombai ai margini della strada, alzai la mano e presi un taxi. -Mi porti a Battery Park, per cortesia. Sentivo la tensione salirmi dallo stomaco, sospirando diedi uno sguardo distratto alla distesa d'acqua alla mia sinistra. Il tassista era un uomo sulla quarantina, naso imponente non molto alto, capelli biondi e carnagione chiara, una ferita sul volto faceva pensare a un qualche tipo di colluttazione. Dovemmo fare alcune deviazioni, poi nel viadotto che portava al parco quasi mi appisolai. Il tassista suonò il clacson, mi ripresi e riconobbi Battery Park. Respirai l'aria pungente, impura, e a buon passo raggiunsi il cuore del parco. Lei mi stava aspettando, bellissima i suoi capelli rossi imperfetti e perfetti nello stesso tempo sembravano possedere la città come un pugno di carta stropicciata. Si bagnò le labbra -Ti aspettavo Gregor, poi con la sua voce fine e sensuale -Siamo pronti, io e te, per la nostra nuova vita. Mi avvicinai e la baciai, con tutto il fiato che avevo in corpo pendendo dalle sue generose e profumate labbra. Prendemmo due tazze di caffè fumanti alla Pearl Street, proprio a due passi dal parco. I miei vestiti erano puliti e il mio odore gradevole dato che mi ero fatto una doccia di prima mattina nell'hotel dove alloggiavo, lei era altrettanto curata, “chissà tra qualche giorno come sarò ridotto”, pensai. Passammo l'intera mattina passeggiando, nonostante il freddo pungente. A ora di pranzo ci fermammo in una tavola calda. Io ordinai un hamburger al sangue, patate e una birra. Lei due uova, pancetta e del latte. Mi accorsi che lo sciamare di turisti ci aveva involontariamente trascinato attorno al colosso finanziario di Wall Street, decisi allora di passare davanti al mio ex-ufficio. Fui preso da un leggero sconforto ripercorrendo mentalmente la mia carriera lavorativa. Ricordo che il lavoro a me assegnato non era noioso, nemmeno faticoso, addirittura ben remunerato: non mi mancava nulla.

Possedevo un attico nei dintorni di Frankfort Street nel quale vivevo con Susan all'inizio. La conobbi una mattina di Luglio, lei faceva la cameriera in un bar poco lontano dalla mia residenza dove mi recavo spesso per rinfrescarmi. A dire il vero era da qualche mese che ci scambiavamo sguardi fugaci, poi un giorno presi coraggio -Un caldo insopportabile vero? Lei mi guardò per un attimo sembrò dire qualcosa, una pausa -Direi che posso ritenermi fortunata, indicando gli operai dall'altro lato della strada -Se facessi un lavoro così, beh allora avrei di che lamentarmi ma qui, qui non si sta mica male dopotutto non trova? Osservai la pelle delle sue mani, in quell'istante mi domandai quanto potevano essere morbide e profumate. -Certo, risposi, ed è per questo che vengo qui per una fresca limonata. -A davvero? Replicò lei. -E' solo per la limonata? Disse ridendo e porgendo le mani all'altezza delle sue labbra. In quell'istante mi bloccai, capii che era lei che stava tentando di sedurmi. Per un secondo mi sentii spaesato come se avessi perso le redini del mio cavallo. Chi dettava le regole del gioco?

Il nostro progetto, o meglio il suo progetto, al quale mi ero unito, consisteva nel vendere tutti i nostri averi. A partire dalla liquidazione del conto in banca, la vendita delle azioni, la vendita dell'attico, l'auto, la bicicletta e ogni singolo mobile. Volevamo rimanere solamente con i vestiti che portavamo addosso e qualche soldo per sopravvivere. Susan sosteneva che dovevamo vivere nella miseria e rialzarci da soli. Solo così avremmo potuto apprezzare veramente la vita, solo così potevamo riscattarci nei confronti di questa generosa città. La mia riluttanza non era poca quando udii queste parole. Poi però dentro di me si fece largo l'idea che ciò fosse possibile. Gradualmente, iniziammo a privarci delle cose più ovvie, l'acqua ad esempio: aprivamo il rubinetto il meno possibile. Niente riscaldamento d'inverno, niente aria condizionata d'estate, cibo ai minimi termini e comunque solo piatti semplici e facilmente reperibili. Niente auto, quando si poteva sempre e solo a piedi. Nel frattempo mi ero già licenziato da molto e Susan aveva abbandonato il suo lavoro. La cosa andò avanti molti mesi ma realizzai veramente che non potevo più tornare indietro quando demmo in beneficenza tutte le mie liquidità comprese quelle ricavate dalla vendita del mio appartamento tenendone per noi una parte irrisoria. Susan poi volle una separazione temporanea di due mesi, due mesi nei quali avremmo dovuto cavarcela da soli, alloggiando in qualche albergo solo quando eravamo allo stremo delle nostre forze.

Passati i due mesi ora che Susan era di nuovo con me iniziavo a preoccuparmi di meno. Da Battery Park in poi il mio umore era migliorato notevolmente. Camminammo lungo Liberty Street lasciandoci Wall Street alle nostre spalle. L'inverno era rigido ma riuscivamo a vincere sulla notte, spesso ci coricavamo vicino a qualche tubatura dell'acqua calda in fase di rottura oppure nascosti nell'anticamera di qualche condominio. Le giornate le passavamo ai parchi. I soldi che avevamo ci sarebbero bastati per mangiare ancora un mese circa. Una mattina mi stropicciai gli occhi con un cielo straordinariamente limpido e pulito. Avevamo passato la notte dentro alcuni cassonetti dell'immondizia. Persi per un attimo lo sguardo sulla scia di un aereo di linea, immediatamente dopo realizzai che Susan non era li con me. Speravo fosse un gioco, lei sapeva dove amavo andare quando mi sentivo confuso, forse mi stava aspettando al campo da baseball, dopotutto c'eravamo accampati vicino alla strada principale che porta al ponte di Manhattan. Sentivo però una costante angoscia crescermi dentro, non esitai, corsi fra le fumose strade di Market Street, arrivai al mio tanto amato campetto da baseball e aspettai, riprendendo fiato per la disperata corsa, passarono delle ore ma di lei nessuna traccia. Presi un taxi con gli ultimissimi soldi a me rimasti -Vado all'Empire Fultron Ferry State Park, pronunciai stridulo -Una delle più belle viste di New York vero? Sorrise il tassista. “Sicuramente sarà li” mormorai tra me e me “dopotutto amavamo passare spesso le ultime ore della giornata osservando l'inconfondibile skyline newyorchese. Lei non c'era. Piansi in ginocchio tra le rocce umide e scivolose mentre sentivo il freddo impossessarsi del mio collo come un laccio di morte, presi le ultime forze che avevo e trovai un posto per coricarmi sperando di non morire assiderato. L'indomani, mi accorsi che ero completamente senza denaro. "Che stupido!" pensai, solo allora realizzai che non avevo più un dollaro, ma perché diavolo non ci avevo pensato prima?

Caro lettore, questa storia sembra improbabile lo so. Io sono Kurt Trevor. Originario del Minnesota e trasferitomi cinque anni fa qui a New York. Sono passati quasi due anni dal ritrovamento di questo pezzo di carta che ora ho trascritto qui per voi, esso giaceva nelle mani assiderate di quel pover uomo che risponde al nome di Gregor. Della sua compagna Susan non c'è traccia alcuna. Ho fatto delle indagini, ho interrogato tutti i gestori dei bar nella Frankfort Street ma niente. Sembra che nessuna ragazza con i capelli rossi abbia mai messo piede come cameriera in nessuno di quei posti ma l'attendibilità delle mie indagini risulta sfocata dal tempo. L'unica cosa che posso fare, è diffondere la storia di un uomo che forse ha voluto credere in ciò che non c'era. Siate voi dunque, liberi di credere o meno.

4 commenti:

  1. Butto lí una cosa che potrebbe essere una gran fesseria: il nome Gregor è un omaggio al protagonista delle Metamorfosi di Kafka? E questa raccontata è una sorta di metamorfosi?
    Bello, bravo Ale! C'è anche molta cittá, come
    piace a me :)
    -Ale

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  2. Ehm, non l'ho nemmeno mai letto Kafka :(

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  3. cavolo ..scrivi veramente bene,e' tutto cosi' fluido ,cosi' reale che non si puo' nemmeno immaginare che non lo sia ! complimenti!!!

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