Il pianeta dal nome impronunciabile

(il seguito di Celsius V)


Andava avanti già da un anno, questo contare i giorni terrestri in un pianeta che di terrestre aveva ben poco, se per poco si intende un pianeta da un nome impronunciabile, una razza da un nome a me sconosciuto e una stella orbitante, estremamente grande che emanava un calore senza sosta. Fui ripescato da una navetta spaziale, almeno così credo, in un posto a me ignoto anche perché forse assente sulle nostre carte stellari. Dopo che mi gettai dalla Celsius V in cerca di una morte dignitosa tutto quello che ricordo e che persi i sensi per poi risvegliarmi in una spiaggia dal sole accecante, qui nel pianeta dal nome impronunciabile, strani esseri vagavano su quella che io definii una spiaggia rovente. Il loro pellegrinare era simile ad una levitazione una sorta di brutto sogno surreale. Non avrei mai saputo dire se si trattasse di esseri super intelligenti o meno. Notavo nel paesaggio una somiglianza disarmante con la terra e anche se il clima era esageratamente caldo, l'ossigeno era presente, permettendomi di respirare senza difficoltà. La notte non esisteva, due stelle orbitavano attorno al pianeta, la prima era enorme rossa da dare la nausea, la seconda paragonabile al nostro Sole. Gli abitanti di questo straordinario mondo non dormivano. Comunicavano telepaticamente? Penso di si. Al di là della costruzione urbanistica che consisteva in file e file di cubicoli con la funzione di "case" (almeno credo), ciò che mi sorprendeva maggiormente, era la "spiaggia". Certo gli ombrelloni erano assenti, nessuno vendeva gelati, e devo confessare che le spiagge le avevo viste solo su offnet ma da quello che ho imparato, l'infrangersi dell'acqua in questo pianeta era pressoché identico alla terra.

La mia fonte di calorie e vitamine era una specie di caramella, andava masticata a lungo per poi essere inghiottita, almeno credo, e non mi faceva mancare nemmeno un briciolo di energie. Ogni giorno, se possiamo parlare di giorno terrestre, uno di quegli esseri mi portava una caramella e un di sostanze refrigeranti molto curiose perché al tatto non davano nessuno stimolo mentre se inghiottite proliferavano un intenso benessere in tutto il corpo. Il caldo era al limite della sopportazione umana. Uscivo solo quando il secondo sole, il meno forte, faceva capolino. Il sole rosso che si innalzava come un disco enorme nel cielo era qualcosa di abominevole. Mi interrogavo, cercavo di capire. Quanto antica doveva essere questa razza? Tutti preferivano starsene in "spiaggia". Di cosa vivessero. Come creassero la loro energia. Il perché non combattessero per la sopravvivenza era per me un mistero!

Passò del tempo, una notte, o più precisamente mentre dormivo, feci un sogno, dove focalizzavo una supernova, e un'esplosione accecante. Mi svegliai di colpo. Andai a guardare fuori. Realizzai l'imminente dramma. Il disco rosso altri non era che il secondo sole, troppo vecchio, stava collassando, stava diventando una supernova e questi babbei se ne stavano al sole ad arrostire senza il minimo pensiero! Dopotutto non me ne fregava un granche. Se questi babbei avevano un miliardo di anni di tecnologie alle spalle e non erano riusciti a capire che la stella fosse ormai diventata un'enorme pustola di idrogeno, beh potevano anche andarsene al diavolo! Che razza di razza di idioti. Nei giorni seguenti corsi in spiaggia più e più volte indicando il disco rosso, ricoperto fino al naso da una coperta per proteggermi dai fortissimi raggi roventi, ma nessuno mi badava. Sembrava non importasse, sembravo quasi un fantasma per loro. Almeno io, una via di uscita dovevo trovarla. Se solo avessi scoperto una qualche navicella spaziale.

La situazione non era delle migliori. Mi misi subito al lavoro rispolverando mentalmente il corso di "Astrofisica". Carta e penna non esistevano in questo mondo, ma se è per questo nemmeno sulla terra ormai da qualche decade. Per i calcoli mentali usai il chip impiantato nel lobo frontale del cervello. Un'interfaccia neurale, una specie di estensione della materia grigia che funge come una lavagna e in grado di annotare, appunti visuali eseguendo contemporaneamente complicati calcoli. Ogni membro della Celsius V ne era accessoriato. Tristemente dovetti rimuovere dalla memoria tutti i giochetti che avevo installato, quindi dovetti dire addio alle ore e ore di proiezione mentale di classici come "Space Invader" e "Duke Nukem 3D". Dovevo fare spazio alla ragione, alla verità. Dopo quasi una settimana di lavoro riuscii a teorizzare che l'esplosione della supernova era prossima. Ma quando? Come avrei fatto a tornare a casa? Anche se le coordinate terrestri erano incise in una memoria indelebile del chip come avrei potuto interpretarle in base alla mia posizione attuale per me sconosciuta? Con quale mezzo mi sarei spostato? Vennero a seguire giorni di perdizione e malessere, fagocitato nell'oblio il calore sembrava essersi fatto insostenibile. Vagavo, quando potevo, ricoperto da un tessuto bianco, uno spiraglio minuscolo all'altezza degli occhi mi permetteva di dirigermi nella giusta direzione ma anche così il calore era un tormento continuo per le mie membra. Non mi venivano quasi più fornite sostanze refrigeranti e questo era molto singolare, pensai. Fu così che nell'attesa del nulla pensai più volte di farla finita. Mi sentivo costantemente disidratato, come una lumaca su una strada di sale. Per quanti liquidi reintegrassi il caldo mi dava una spossatezza colossale. Ebbi delle allucinazioni, ripensai alla Celsius V, immaginai la terra l'erba i prati tutto ciò che non avevo mai potuto vedere dal vivo sul suolo terrestre. Piansi immensamente per la crudeltà che il destino aveva in riserbo per me, vittima di un disegno più grande con una fine prossima in un pianeta che non era il mio.

Poi un giorno, disteso sul pavimento inerme vidi dalla finestra un mezzo volante fluttuare nell'atmosfera. Era pilotato da uno di quegli esseri dal nome impronunciabile, lo trovai adagiato a qualche chilometro dalla mia abitazione, una macchina dalla forma affusolata e insolita. Scivolai dentro in quello in cui possiamo definire un abitacolo ma la console di bordo era totalmente assente da comandi. Probabilmente la navicella veniva governata con le onde telepatiche. Era tutto così strano così impossibile per me. I giorni si fecero sempre più stretti, mi sentivo l'ultimo fantasma di un regno pronto al collasso. Ripetute volte mi trascinai molto lontano in uno spasmo di dolore e in un bagno di sudore per poi risvegliarmi sempre nella mia stanza. Questo susseguirsi di azioni si ripeté con costanza per alcuni mesi. Preso dalla disperazione un giorno salii su un tetto e mi gettai a testa in giù nel vuoto. Il buio, l'oblio sogni terribili, supernove esplosioni, distorsioni spazio temporali chiudevano le mie connessioni neurali in surrogati di angosce e drammi. Mi svegliai di colpo nella mia stanza. Fu così che arrivai a pensare di essere prigioniero. Non potevo morire, non mi era concesso, non potevo andarmene o allontanarmi. Loro mi tenevano sotto controllo. Il motivo era a me ignoto.

Una mattina, mi prelevarono e mi fecero ondeggiare in un'altra abitazione. Un cubicolo bianco dove mi lasciarono per un tempo a me indefinito. Mi tenevano al limite della sopravvivenza, ebbi altre allucinazioni, non so dire per quanto tempo rimasi in balia di un'angoscia senza forma, ma li sentivo nella mia mente, li sentivo adattarsi nel mio cervello farsi spazio. Le loro onde telepatiche mi distruggevano in un susseguirsi di intermittenti spasmi. Pregai di essere morto innumerevoli volte, mi tennero in un desolato buio molto a lungo. Cercai di sbattere la testa più volte nella parete ma sembrava cedere sotto le mie forze per poi ricomporsi in uno stato di solidità totale.

Questi esseri informi devono aver usato le coordinate terrestri presenti nella mia mente per raggiungere la terra in un unico viaggio interstellare. Ciò che ricordo e che mi svegliai inerme in una spiaggia e che riconobbi i segni della civiltà umana. Poco dopo una pattuglia di ricognizione mi prelevò e mi portò in un bunker di sicurezza insieme agli altri civili. Feci domande, mi guardavano sbigottiti, come se fossi un folle, chiesi a tutti i presenti cosa stesse accadendo, rapidi accenni e poi la disarmante verità di un'invasione aliena dalle conseguenze irreversibili. Ecco cosa cercavano quegli esseri dal nome impronunciabile: un mondo nuovo, un mondo lontano dal loro destino fatale.

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